IL TRANSUMANESIMO

 


“Il mondo sta finendo. La sola ragione per la quale potrebbe durare, è che esiste. Questa ragione è debole, in paragone a tutte quelle che annunciano il contrario, particolarmente a questa: che ha da fare ormai il mondo sotto al cielo? – Poiché, supponendo che continuasse a esistere materialmente, sarebbe un’esistenza degna di questo appellativo?”

Charles Baudelaire – da i “Diari Intimi”

 

 L’IPER-REALTA’

Il primo segno del Divino che l’uomo lascia è quello della creatività, questa è la sua più naturale pulsione; nell’arte, infatti, l’uomo cerca di riprodurre e di esternare la sua intuizione di un qualcosa di superiore, di un Ente Creatore e Generatore, che percepisce essere presente nei meccanismi inintelligibili della realtà. Sin dall’alba dei tempi, infatti l’uomo ha trovato nell’arte la sua chiave di lettura del mondo, un mondo immerso nella spiritualità, che andava intrepretato con un senso religioso della vita.
L’arte, dunque, come espressione realistica dell’umanità in senso lato, senza finzioni, con il massimo grado di verosimiglianza e naturalismo, che sa cogliere come nessun altro mezzo gli elementi magici dell’Uomo e del suo ambiente.
Questo però è vero fino alla fine del XVIII sec., con il sopraggiungere della cosiddetta “rivoluzione” industriale, infatti, l’uomo vide crollare di fronte a sé tutte le sue certezze naturali, il suo sapere ancestrale, che lo aveva condotto fin li dopo millenni di vera evoluzione morale e sociale, venne ridotto a superstizione; questo cambiamento culturale era motivato non più dal raggiungimento della pienezza dei cicli della natura ne tanto meno dalle sole necessità vitali ma bensì dal superamento dei limiti umani che avrebbero dato abbondanza e valorizzato il superfluo e questo nuovo benessere meccanico era ispirato guidato dalla fiducia ottimistica e assoluta nella scienza.
Anche l’arte che fino a lì era stata motivata da canoni armonia, bellezza e proporzione, la cui messa in opera si basava semplicemente nell'osservare e riprodurre la Natura, cominciò a risentire di un cambiamento che stava compromettendo l’equilibrio interiore dell’Uomo e stava per sfibrare il tessuto dell’Umanità stessa.
Indubbiamente le rivoluzioni industriali a cavallo del XVIII e XIX sec. portarono inizialmente benefici impressionanti: le gocce di sudore della fatica vennero sostituite in gran parte dall'acqua dei motori a vapore, più cibo nei mercati grazie alla produzione meccanizzata, l’elettricità sottraeva spazio al buio e anche la medicina porto benefici impensabili; tutto ciò porto speranza, euforia e un incontrovertibile fede nell'empirismo positivista.
I nodi al pettine però non tardarono a venire: l’inesorabile processo di industrializzazione delle nazioni portò il mondo ad un nuovo linguaggio quello del capitale, che slegò sempre più le reali necessità dell’uomo dalle finte necessità dei mercati, e ciò portò all'alienazione dell’uomo stesso dal contesto della Realtà e si ritrovava ad essere non più custode e motore del suo mondo ma mero ingranaggio espropriato delle sue originali motivazioni.

Il culmine di questo processo fu negli anni 20 del XX sec. epoca in cui il profitto del consumo ha ucciso per sempre la Realtà “reale” creando quel colossale golem finanziario che ha ridotto l’umanità ad un’impotenza onirica, manipolando e condizionando gli stili vita delle genti, scollandole dal vero valore di uso delle cose e rendendole schiave di feticci che agiscono ipnoticamente sulla psiche dei singoli.
È emblema di questo passaggio l’appropriazione, proprio a fine anni 20 del ‘900, che una fabbrica di bevande americana fece di Babbo Natale; questa figura che noi conosciamo e celebriamo ogni “santo” natale, inventata per questioni di marketing, è la dimostrazione di come si possa controllare la mente delle persone, finanche ad imporle un usanza costosa come quella dello scambio dei regali di natale, un usanza che se tradita minerebbe le vere basi dell’economia mondiale attuale, un usanza che se tradita sarebbe un evento assai più grave e blasfemo, che non celebrare la santa messa del 25 dicembre.
Anche l’arte, fedele testimone degli stati d’animo dell’uomo, ha risentito di tutto ciò e il realismo si è adattato a questa forma di ipnosi collettiva descrivendo tutta la “reale” falsità di questo nuovo mondo globale con una corrente artistica nota come “iperrealista”: la perfetta imitazione della realtà metteva in luce tutto gli aspetti grotteschi, paradossali e irrazionali, di un’umanità sempre meno umana e sempre più schiava delle cose che costruiva o produceva.
È il filosofo francese Jean Baudrillard a cristallizzare nel 1976 il concetto di iperrealtà: “Al giorno d’oggi, tutto il sistema precipita nell’indeterminazione, tutta la realtà è assorbita dall’iperrealtà del codice e della simulazione. È un principio di simulazione quello che ormai ci governa al posto dell’antico principio di realtà. Le finalità sono scomparse: sono i modelli che ci generano. Non c’è più ideologia, ci sono soltanto dei simulacri.” (da L’Échange symbolique et la mort). Oggi le teorie dell’iperrealtà hanno trovato la più atroce realizzazione pratica: i codici governano il mondo degli uomini, gli algoritmi hanno soppiantato di fatto il libero arbitrio, la tecnologia è diventata un cimitero per i sentimenti, il surrogato è oggi il vero, e la verità è semplicemente una statistica ovvero una maggioranza.
È difficile non vedere un disegno, un architettamento, un vero e proprio piano mortifero: abbiamo una vittima (l’Uomo), un movente (la distruzione dell’umanità) e l’arma (la tecnologia), i sicari (il mondo della tecnocrazia finanziaria), manca solo il mandante…

IL GIOCATTOLO

Pinocchio voleva diventare un umano, voleva prendere coscienza della realtà in carne ed ossa e lasciarsi il sogno dell’eterna infanzia alle spalle, così ci racconta la favola; nella realtà, soprattutto nella realtà odierna, l’Uomo invece non vuole riconoscersi per quello che è, un essere compiuto che ha un compito da svolgere ben preciso ma sceglie di rimanere nell’indolenza della fanciullezza, relegando la sua esistenza al ruolo di burattino, comandato dal Mangiafuoco di turno.

Ruolo centrale nella fase dell’infanzia lo ricopre il gioco ovvero quell’attività, scelta più o meno liberamente, a cui ci si dedica con i soli fini immediati come la ricreazione e lo svago ma che a lungo andare può sviluppare, attraverso l’esercizio e la simulazione, quelle capacità che conducono all’indipendenza dell’individuo.

La tecnologia che ha permesso all’uomo di costruire civiltà, di replicare la natura secondo i canoni della sacra geometria, che elevato l’umanità attraverso il pensiero e le scoperte di uomini geniali, oggigiorno proprio grazie alla sua stessa spinta propulsiva sembra essere ridondante, presente ovunque anche senza una vera motivazione: tutto deve essere smart (furbo/intelligente/veloce) dal televisore alle lampadine di casa, tutto deve essere on-line (nella rete) dagli elettrodomestici al conto in banca…

Questa presenza in ogni dove della tecnologia sta pian piano portando lo stupore per la “magia” digitale ad un dato di fatto scontato e soprattutto dovuto; l’Homo Sapiens forse venerava e temeva il fuoco e non, capendone la sua intima natura, lo rispettava, l’uomo di oggi invece che possiamo definirlo Homo Technologicus o Informaticus, vede il suo intelletto sovrastato dalla complessità funzionale del micro-chip ma non se ne risente anzi accetta tutto questo come l’inevitabile progresso che la modernità esige per il “bene” della società, così come la scimmia lanciata nello spazio su di un razzo circa settant’anni accettò di pigiare bottoni meccanicamente in cambio di qualche nocciolina.
L’uomo però è divertito da tutto ciò, il mezzo tecnologico, il telefono cellulare, lo rende onnipotente come nei giochi d’infanzia: basta “clikkare” e ricevere a casa la cena, un libro, una donna e anche un nuovo telefonino più aggiornato.
L’Homo Technologicus finalmente ha in mano il gioco perfetto, un giocattolo a metà strada tra genio della lampada e bacchetta magica, non ha più bisogno di fare o capire per crescere e maturare esperienze dirette, non gli interessa se non usa più mezzo tecnologico come mezzo di miglioramento ma anzi si crogiola nel fatto che è l’algoritmo stesso a scegliere per lui, a consigliarlo e a coccolarlo, e non vede scandalo nella perversa inversione dei ruoli dove è lo strumento da servitore diventa padrone, e così, da utilizzatore intelligente, l’uomo si è ridotto ad essere utilizzato intelligentemente.
Un atteggiamento di prona accettazione del “progresso”, soprattutto senza una vera necessità, si è trasformato in una specifica dipendenza, sarebbe impensabile oggi vivere senza telefonino, senza chi sceglie per noi quale strada prendere, che ci suggerisce quale oggetto acquistare, che non ci permette di vivere senza immortalare il momento ogni momento e condividerlo.

Cantava Franco Battiato nel 1979 nella canzone “Il Re del Mondo” – più tutto diventa inutile, più credi che sia vero, ed è proprio così: non riuscendo più l’uomo a sviluppare i suoi poteri innati, inaccessibili al suo stato attuale d’immaturità, pensa di poter crescere attraverso la fusione con la tecnologia alla ricerca di una effimera potenza.

LA FINE

Il tessuto iperreale in cui l’uomo-burattino viene “allevato” da un secolo e più, e la conseguente assuefazione informatica, ha fatto sì che in modo quasi naturale e in breve tempo, attecchisse nella società globale l’idea che la tecnologia innestata nel generale processo evolutivo sia l’unica via per migliorare l’esistenza umana; si è cominciato quindi nella metà del secolo scorso a teorizzare il Transumanesimo, un fase in cui l’uomo cerca di superare i propri limiti con l’aiuto di un intelligenza artificiale esterna con cui egli cerca all’inizio una simbiosi per poi fondersi ed implementarsi, e diventare così “più che umano”.

Il concetto originario di Julian Huxley aveva effettivamente un suo fascino, il genetista inglese conia il termine transumanesimo nel 1957 ad indicare «l'uomo che rimane umano, ma che trascende sé stesso, realizzando le nuove potenzialità della sua natura umana, per la sua natura umana», dove è l’uomo deve essere in controllo di questo nuovo filone evolutivo che ha come fine il beneficio di una umanità potenziata.

Le cose non sono andate come previsto, in breve le potenzialità del transumanesimo sono state dapprima ridotte ad una sfera di profitto commerciale, slegandosi quindi da obiettivi sociali per dare sempre più spazio ai fini individualisti e edonistici, per poi vedere il mondo della politica mondiale appropriarsene per estendere il controllo sulle masse, rendendo la “cosa” tecnologica dapprima utile e poi trasformandola in qualcosa di indispensabile e poi ridurla un obbligo per partecipare alla vita sociale e civile: la dittatura della tecnocrazia globale non ha avuto nessuna difficoltà ad affermarsi in un umanità impoverita e lacerata dalla disconnessione che internet ha portato tra uomo e uomo, anzi è stata proprio l’umanità stessa ad invocare la conquista e la schiavizzazione.
Oggi l’uomo non c’è più, non vuole esserci più vuole solo apparire; forse nemmeno più il cittadino-contribuente con nome e cognome esiste più, soppiantato da un QR code oggi, da un microchip domani, da un robot dopodomani.
Attualmente il transumanesimo è la realizzazione dei peggiori sogni distopici degli scrittori del passato; l'ingegneria genetica, l’autocreazione, le bio – crio – nano tecnologie, la neurofarmacologia, le protesi artificiali, la fusione tra la mente e le macchine, sono gli strumenti con cui si sta distruggendo l’uomo.
Il miglioramento non può passare dall’annichilimento del sistema stesso, la trasformazione è un processo cognitivo-fisiologico che ha bisogno di diverso tempo, e ogni tempo necessario è diverso da individuo ad individuo; si è vero che la farfalla era prima bruco ma è vero anche che se il bozzolo del verme venisse rotto dall’esterno prima che la natura faccia il suo corso dall’interno, ciò porterebbe alla morte del bruco e quindi della stessa farfalla.

Le dosi d’entusiasmo che le invenzioni tecnologiche stanno in modo esogeno pompando nella società dell’iperreale hanno fatto di perdere di vista la minaccia che si cela dietro la parola “transumanesimo”, il prefisso latino trans- indica il mutamento da una condizione all’altra, un momento di passaggio, e dopo questa transizione appunto, si giungerà al post-, alla postumanità: l’uomo non sarà più, ci sarà dapprima l’ibrido e infine il robot, per definizione non-umano.

Il processo è iniziato, la società delle macchine dirà l’ultima parola sull’umanità e sarà: “Fine. The End”

Commenti

Post più popolari