di S.C.
Avevo risposto di no. Il mio
rifiuto sorprese più me che lui, visto che avevo atteso quel momento per tutta
la vita.
Più volte nella mia intimità mi ero chiesto cosa avrei fatto se me lo avesse chiesto ed ogni volta salda era la mia convinzione che avrei risposto positivamente.
"No, grazie" gli dissi mentre mi si avvicinò nella toilette mettendosi per urinare nella conchiglia accanto alla mia.
"Capisco" mi rispose molleggiandosi sulle ginocchia.
Mi aveva chiamato il giorno prima sul mio cellulare mentre stavo scrivendo, mi disse brevemente chi fosse e cosa volesse e fece sì che io non potessi sbagliare in alcun modo sulla sua identità.
"Domani alle 7 al Café des Artistes" fu quello l'appuntamento.
Il pensiero che potevo ottenere tutto ciò che avessi voluto, semplicemente in cambio della mia anima non mi fece chiudere occhio tutta la notte.
Aprii la porta del locale e fui accolto da immense boccate di fumo.
Mi sedetti ad un tavolino in disparte. Non ordinai nulla da bere, mi parve corretto attenderlo. Per rispetto, mica perché non avessi bisogno di qualcosa di forte, tutt'altro! Sfido chiunque a non avere bisogno di un paio di whisky mentre è in sua attesa. Mi guardai attorno. C'era molta gente in quel caffè, ma era triste, sconfitta direi, quasi condannata. Vi era un piccolo palco in fondo con i sipari di velluto rosso chiusi. Ero sicuro che quella topaia aveva visto giorni migliori anche perché così ad occhio e croce, doveva avere quasi un secolo. Una mano sulla spalla mi fece sussultare intento com'ero ad osservare l'ambiente suggestivo decrepito. Non l'avevo visto arrivare.
"Amico mio" esordì con un velato accento francese "posso sedermi?"
Annuii. Non riuscivo a parlare per l'eccitazione.
Era proprio come me lo immaginavo: capelli neri, tirati indietro, baffetti appuntiti, occhi intensi, frac e papillon.
Andò subito al dunque senza perdersi in preamboli inutili.
"Cosa ha deciso, mon ami?"
Sentendo quelle parole, il mio cuor cominciò a correre.
Ero diviso, lacerato. Come poter rifiutare? Perché dover scegliere di continuare in quella maniera?
Guardai di nuovo attorno a me. Quel posto, tutta quella gente mesta ... intuii che, non ero lì per caso e che forse anche loro…
"Devo andare in bagno, mi scusi..." dissi alzandomi di scatto.
Sentivo i suoi occhi bramosi su di me mentre mi allontanavo.
"Almeno mi permetta di offrirle qualcosa da bere!" mi disse riabbottonandosi la toppa dei pantaloni.
Più volte nella mia intimità mi ero chiesto cosa avrei fatto se me lo avesse chiesto ed ogni volta salda era la mia convinzione che avrei risposto positivamente.
"No, grazie" gli dissi mentre mi si avvicinò nella toilette mettendosi per urinare nella conchiglia accanto alla mia.
"Capisco" mi rispose molleggiandosi sulle ginocchia.
Mi aveva chiamato il giorno prima sul mio cellulare mentre stavo scrivendo, mi disse brevemente chi fosse e cosa volesse e fece sì che io non potessi sbagliare in alcun modo sulla sua identità.
"Domani alle 7 al Café des Artistes" fu quello l'appuntamento.
Il pensiero che potevo ottenere tutto ciò che avessi voluto, semplicemente in cambio della mia anima non mi fece chiudere occhio tutta la notte.
Aprii la porta del locale e fui accolto da immense boccate di fumo.
Mi sedetti ad un tavolino in disparte. Non ordinai nulla da bere, mi parve corretto attenderlo. Per rispetto, mica perché non avessi bisogno di qualcosa di forte, tutt'altro! Sfido chiunque a non avere bisogno di un paio di whisky mentre è in sua attesa. Mi guardai attorno. C'era molta gente in quel caffè, ma era triste, sconfitta direi, quasi condannata. Vi era un piccolo palco in fondo con i sipari di velluto rosso chiusi. Ero sicuro che quella topaia aveva visto giorni migliori anche perché così ad occhio e croce, doveva avere quasi un secolo. Una mano sulla spalla mi fece sussultare intento com'ero ad osservare l'ambiente suggestivo decrepito. Non l'avevo visto arrivare.
"Amico mio" esordì con un velato accento francese "posso sedermi?"
Annuii. Non riuscivo a parlare per l'eccitazione.
Era proprio come me lo immaginavo: capelli neri, tirati indietro, baffetti appuntiti, occhi intensi, frac e papillon.
Andò subito al dunque senza perdersi in preamboli inutili.
"Cosa ha deciso, mon ami?"
Sentendo quelle parole, il mio cuor cominciò a correre.
Ero diviso, lacerato. Come poter rifiutare? Perché dover scegliere di continuare in quella maniera?
Guardai di nuovo attorno a me. Quel posto, tutta quella gente mesta ... intuii che, non ero lì per caso e che forse anche loro…
"Devo andare in bagno, mi scusi..." dissi alzandomi di scatto.
Sentivo i suoi occhi bramosi su di me mentre mi allontanavo.
"Almeno mi permetta di offrirle qualcosa da bere!" mi disse riabbottonandosi la toppa dei pantaloni.
Lo guardai, tirandomi su la zip
anch'io, un po' perplesso "possibile che si sia già arreso" mi
domandai.
"Va bene. Grazie." Dopotutto avevo bisogno di un drink e le mie ansie sarebbero state lavate via con un piccolo aiuto alcolico.
Quando fummo di nuovo al nostro tavolo il cameriere si avvicinò.
"Un whisky per favore" ordinai.
Lui mi guardò esterrefatto e poi con la mano fece cenno al cameriere di non badare a me.
"Assenzio. Per due; s'il vous plait" sentenziò e poi aggiunse, fissandomi negli occhi, "io bevo solo Quello".
Il ragazzo tornò presto portando su d' un vassoio due piccoli bicchieri pieni di un verde lucente.
"Ah!· La Fée Verte! La fata verde" disse ipnotizzato dallo scintillio della bevanda.
"Mi imiti" disse buttandosi in gola tutto il contenuto del bicchiere "À la santé"
Lo imitai. Fu subito anice nella mia bocca e poi fuoco nella gola. Non potei fare a meno di sbattere un pugno sul tavolo mentre ingoiavo le fiamme.
"Bene" mi disse "molto bene" poi si alzò e battè le mani per cercare l'attenzione dei poveri bevitori del café”.
"Madames et monsieur! Absinthe, pour tout le monde!" indicò al barista di servire tutti.
"Musique, s'il vous plait" gridò poi verso il palco.
Con la gola che bruciava di piacere guardai allibito il sipario rosso che si apriva,al suono di Can Can e ballerine che fuoriuscivano dalle quinte, sbatacchiando le loro gonne per mostrarci le gambe.
Il liquore verde, offerto da quel enigmatico distinto gentiluomo coi baffi, sembrava sortire l'effetto desiderato sulla gente, che man mano prendeva vita scrollandosi di dosso il grigiore che li aveva alienati fino a pochi minuti prima.
Il mio ospite fece cenno ad una ballerina di avvicinarsi e subito la donna con la faccia un po' triste tutta incipriata, e con le scarpette da danza ai piedi, venne a sedersi vicino a me offrendomi un altro Absinthe puro.
Lo bevvi come feci col precedente e stavolta non bruciò ma solleticò. La donna mi stampò un bacio sulle labbra impiastricciandomi di rossetto. L'iniziativa mi sorprese, ma per poco a dir la verità, allora chiusi gli occhi e mi lasciai andare nella sua bocca. Le gambe mi formicolavano di piacere, la tésta mi prudeva di idee, non c'era dubbio: la fata verde era dentro di me.
"Buona fortuna, man ami" sentii dire dall'uomo in frac.
Quando riaprii gli occhi per capire cosa volesse dire, già se ne era andato, dileguato.
"Va bene. Grazie." Dopotutto avevo bisogno di un drink e le mie ansie sarebbero state lavate via con un piccolo aiuto alcolico.
Quando fummo di nuovo al nostro tavolo il cameriere si avvicinò.
"Un whisky per favore" ordinai.
Lui mi guardò esterrefatto e poi con la mano fece cenno al cameriere di non badare a me.
"Assenzio. Per due; s'il vous plait" sentenziò e poi aggiunse, fissandomi negli occhi, "io bevo solo Quello".
Il ragazzo tornò presto portando su d' un vassoio due piccoli bicchieri pieni di un verde lucente.
"Ah!· La Fée Verte! La fata verde" disse ipnotizzato dallo scintillio della bevanda.
"Mi imiti" disse buttandosi in gola tutto il contenuto del bicchiere "À la santé"
Lo imitai. Fu subito anice nella mia bocca e poi fuoco nella gola. Non potei fare a meno di sbattere un pugno sul tavolo mentre ingoiavo le fiamme.
"Bene" mi disse "molto bene" poi si alzò e battè le mani per cercare l'attenzione dei poveri bevitori del café”.
"Madames et monsieur! Absinthe, pour tout le monde!" indicò al barista di servire tutti.
"Musique, s'il vous plait" gridò poi verso il palco.
Con la gola che bruciava di piacere guardai allibito il sipario rosso che si apriva,al suono di Can Can e ballerine che fuoriuscivano dalle quinte, sbatacchiando le loro gonne per mostrarci le gambe.
Il liquore verde, offerto da quel enigmatico distinto gentiluomo coi baffi, sembrava sortire l'effetto desiderato sulla gente, che man mano prendeva vita scrollandosi di dosso il grigiore che li aveva alienati fino a pochi minuti prima.
Il mio ospite fece cenno ad una ballerina di avvicinarsi e subito la donna con la faccia un po' triste tutta incipriata, e con le scarpette da danza ai piedi, venne a sedersi vicino a me offrendomi un altro Absinthe puro.
Lo bevvi come feci col precedente e stavolta non bruciò ma solleticò. La donna mi stampò un bacio sulle labbra impiastricciandomi di rossetto. L'iniziativa mi sorprese, ma per poco a dir la verità, allora chiusi gli occhi e mi lasciai andare nella sua bocca. Le gambe mi formicolavano di piacere, la tésta mi prudeva di idee, non c'era dubbio: la fata verde era dentro di me.
"Buona fortuna, man ami" sentii dire dall'uomo in frac.
Quando riaprii gli occhi per capire cosa volesse dire, già se ne era andato, dileguato.
Rimasi fra le braccia della donna,
cercando di fare un po' di chiarezza su cosa mi stesse succedendo intorno: tutti
bevevano, chi assenzio, chi cognac, chi birra, tutti parlavano e si
divertivano; la sala piena di colori sembrava essere diventata il centro del
mondo. La ballerina ridendo mi spinse sulle labbra un'altra bicchierino di
pozione colore smeraldo ma rifiutai confuso.
Un uomo con la punta della testa calva ma con capelli lunghissimi tutt'attorno e barba e baffi che arricchivano una faccia maestosa, notò la scena e venne a sedersi accanto a me.
"Non sia timido signore, beva" mi disse, "qui dentro tutti, anche lei altrimenti non sarebbe fra noi, abbiamo una reputazione ed io mi ubriaco per mantenere la mia reputazione"
Mi guardò poi con occhi assenti e aggiunse "e io ... io sono schiavo della mia reputazione"
Fece appena in tempo a dare un'altra sorso da un bicchiere pieno di liquore bianco opaco, che un uomo con i lineamenti di fanciullo ed un coltello nella mano sopraggiunse alle sue spalle.
"Verlaine!" gridò "ti ammazzo,. tu, lurido cane, ombra di stesso"
"Oh, Arthur. Sei patetico. Scambiavo solo due chiacchere" gli rispose Verlaine senza nemmeno voltarsi ma Arthur gli si avventò contro buttandolo a terra. La ballerina incipriata scappò gridando e a me parve giusto lasciare decidere la querelle ai due per andare a rinfrescarmi la bocca con il sapore dell'anice e dell'artemisia.
Appoggiato coi gomiti al bancone cercavo fra la folla la donna che mi aveva baciato. La sensazione che l'assenzio mi stava dando era incredibile, era lo stupore più vero, era lo Stupore Verde.
Un personaggio barcollante con la faccia scavata e la fronte alta si avvicinò.
"Monsieur" mi disse attraverso labbra finissime "beviamo qualcosa?"
"Non le sembra di essere già ubriaco?" gli risposi
Sgranò gli occhi stupito dall'audacia della mia risposta.
La sua faccia divenne grave e poi disse: "Monsieur, bisogna sempre essere ubriachi. .. se non si vuole sentire l'orribile fardello del Tempo che ci spezza la schiena e ci piega fino a terra: bisogna intossicarsi incessantemente. Ma con cosa? Con del vino, con la poesia, o con la virtù, scelga lei ... ma s'intossichi!"
Mi lasciò senza parole.
Ordinò altri due bicchierini d'assenzio.
"Beva alla mia salute" sentenziò, mettendomi un bicchierino nella mano,"beva alla salute di Baudelaire!".
Rimasi imbambolato guardandolo mentre se ne andava senza equilibrio.
Un uomo con la punta della testa calva ma con capelli lunghissimi tutt'attorno e barba e baffi che arricchivano una faccia maestosa, notò la scena e venne a sedersi accanto a me.
"Non sia timido signore, beva" mi disse, "qui dentro tutti, anche lei altrimenti non sarebbe fra noi, abbiamo una reputazione ed io mi ubriaco per mantenere la mia reputazione"
Mi guardò poi con occhi assenti e aggiunse "e io ... io sono schiavo della mia reputazione"
Fece appena in tempo a dare un'altra sorso da un bicchiere pieno di liquore bianco opaco, che un uomo con i lineamenti di fanciullo ed un coltello nella mano sopraggiunse alle sue spalle.
"Verlaine!" gridò "ti ammazzo,. tu, lurido cane, ombra di stesso"
"Oh, Arthur. Sei patetico. Scambiavo solo due chiacchere" gli rispose Verlaine senza nemmeno voltarsi ma Arthur gli si avventò contro buttandolo a terra. La ballerina incipriata scappò gridando e a me parve giusto lasciare decidere la querelle ai due per andare a rinfrescarmi la bocca con il sapore dell'anice e dell'artemisia.
Appoggiato coi gomiti al bancone cercavo fra la folla la donna che mi aveva baciato. La sensazione che l'assenzio mi stava dando era incredibile, era lo stupore più vero, era lo Stupore Verde.
Un personaggio barcollante con la faccia scavata e la fronte alta si avvicinò.
"Monsieur" mi disse attraverso labbra finissime "beviamo qualcosa?"
"Non le sembra di essere già ubriaco?" gli risposi
Sgranò gli occhi stupito dall'audacia della mia risposta.
La sua faccia divenne grave e poi disse: "Monsieur, bisogna sempre essere ubriachi. .. se non si vuole sentire l'orribile fardello del Tempo che ci spezza la schiena e ci piega fino a terra: bisogna intossicarsi incessantemente. Ma con cosa? Con del vino, con la poesia, o con la virtù, scelga lei ... ma s'intossichi!"
Mi lasciò senza parole.
Ordinò altri due bicchierini d'assenzio.
"Beva alla mia salute" sentenziò, mettendomi un bicchierino nella mano,"beva alla salute di Baudelaire!".
Rimasi imbambolato guardandolo mentre se ne andava senza equilibrio.
Feci per tracannare, in un sol
colpo, l'ennesimo bicchiere, ma fui interrotto da un omuncolo, quasi un nano,
che guardandomi scuoteva la testa.
"Non, non, non. lei c'est diabolique ! Non si deve bere così. No no no."
Poggiò il bastone, col quale s'aiutava a camminare, sul mio braccio per impedirmi di portarmi il bicchiere alla bocca.
"Mi aiuti” mi disse mentre cercava di sedersi su uno sgabello del bancone.
"Non bisògna bere troppo" continuò, una volta accomodato, "ma bisogna ... si faccia dare un calice adatto innanzitutto…"
Senza bisogno che lo chiamassi il cameriere poggiò sul bancone due bicchieri Pontarlier (che poi appresi essere gli originali bicchieri da assenzio).
"Dicevo? Ah, si. Non bisogna bere troppo…" s'interruppe per prendere il suo bastone di bambù, al quale, con mia grande meraviglia, svitò la parte superiore, il bambù era cavo e dall'interno versò nei nostri calici un liquore verde ancora più lucente degli altri "… dunque non bisogna bere troppo ma bisogna bere spesso" concluse facendomi l'occhiolino.
"Gli absintheurs, i veri bevitori della gioia di smeraldo, bevono così, guardi" dal taschino della sua giacca stropicciata e sporca tirò fuori un cucchiaio bucherellato, sembrava un colino, e lo poggio in cima al bicchiere, dopodiché prese una zolletta di zucchero e poggiandola sul colino la intrise con un poco di absinthe e li diede fuoco. Lo zucchero bruciò lentamente lasciando cadere attraverso i buchi gocce infuocate color blu.
Quando la fiamma sulla zolletta si spense gli versò sopra un po' d'acqua che il barista prontamente ci aveva servito in un delizioso pichet. La purezza dell'acqua intorbidò la magia della fata verde e, mischiandosi assieme, crearono nel calice un bianco miracolo opalescente.
L'affascinante procedimento m'incantò e volli subito assaggiarlo.
"Non ancora" mi fermò lo storpio "ci vuole saggezza adesso. Gocce di saggezza per l'esattezza" e tirò fuori da un'altra tasca della giacca un flaconcino. Si guardò intorno furtivamente e poi disse
"Laudanum" mentre lasciava cadere alcune gocce nei bicchieri in modo rituale
"Il procedimento" aggiunse "non è esatto: la saggezza andrebbe sullo zucchero…ma non si preoccupi l'effetto è lo stesso"
Bevemmo e finalmente riuscii ad assaporare per intero lo splendore dell'artemisia senza fiamme che mi bruciassero la gola.
Feci cenno col capo per ringraziarlo dei suoi preziosi insegnamenti ed egli rispose con un goffo inchino dopo essere saltato giù dallo sgabello
"Non, non, non. lei c'est diabolique ! Non si deve bere così. No no no."
Poggiò il bastone, col quale s'aiutava a camminare, sul mio braccio per impedirmi di portarmi il bicchiere alla bocca.
"Mi aiuti” mi disse mentre cercava di sedersi su uno sgabello del bancone.
"Non bisògna bere troppo" continuò, una volta accomodato, "ma bisogna ... si faccia dare un calice adatto innanzitutto…"
Senza bisogno che lo chiamassi il cameriere poggiò sul bancone due bicchieri Pontarlier (che poi appresi essere gli originali bicchieri da assenzio).
"Dicevo? Ah, si. Non bisogna bere troppo…" s'interruppe per prendere il suo bastone di bambù, al quale, con mia grande meraviglia, svitò la parte superiore, il bambù era cavo e dall'interno versò nei nostri calici un liquore verde ancora più lucente degli altri "… dunque non bisogna bere troppo ma bisogna bere spesso" concluse facendomi l'occhiolino.
"Gli absintheurs, i veri bevitori della gioia di smeraldo, bevono così, guardi" dal taschino della sua giacca stropicciata e sporca tirò fuori un cucchiaio bucherellato, sembrava un colino, e lo poggio in cima al bicchiere, dopodiché prese una zolletta di zucchero e poggiandola sul colino la intrise con un poco di absinthe e li diede fuoco. Lo zucchero bruciò lentamente lasciando cadere attraverso i buchi gocce infuocate color blu.
Quando la fiamma sulla zolletta si spense gli versò sopra un po' d'acqua che il barista prontamente ci aveva servito in un delizioso pichet. La purezza dell'acqua intorbidò la magia della fata verde e, mischiandosi assieme, crearono nel calice un bianco miracolo opalescente.
L'affascinante procedimento m'incantò e volli subito assaggiarlo.
"Non ancora" mi fermò lo storpio "ci vuole saggezza adesso. Gocce di saggezza per l'esattezza" e tirò fuori da un'altra tasca della giacca un flaconcino. Si guardò intorno furtivamente e poi disse
"Laudanum" mentre lasciava cadere alcune gocce nei bicchieri in modo rituale
"Il procedimento" aggiunse "non è esatto: la saggezza andrebbe sullo zucchero…ma non si preoccupi l'effetto è lo stesso"
Bevemmo e finalmente riuscii ad assaporare per intero lo splendore dell'artemisia senza fiamme che mi bruciassero la gola.
Feci cenno col capo per ringraziarlo dei suoi preziosi insegnamenti ed egli rispose con un goffo inchino dopo essere saltato giù dallo sgabello
"Henri de Toulouse-Lautrec al
suo servizio" mi disse, prima di continuare il suo viaggio nei meandri di quello
strano locale dove anche quell'ometto storpiò sembrava un re.
Ormai pieno di quelle conoscenze non avevo più voglia di festa ma di tranquillità, per poter ripetere l'esperimento che Lautrec mi aveva illustrato. Cercai un posto con un po' di pace ma ormai la fata trasportava i cuori di tutta la gente. Rassegnato a quella baraonda, notai che la ballerina che mi aveva baciato poco prima entrava di soppiatto in una porta accanto al palco. La seguii senza alcun timore.
La prima cosa che notai fu l'alone delle lampade ad olio che scendevano dal soffitto. Uno strano riverbero circolare tratteggiava un campo etereo intorno alle fiammelle che distribuivano la luce come grosse pennellate.
C'era un biliardo al centro della sala e vicino un uomo vestito di bianco, ritto e con le mani in tasca che fissava il vuoto. Le pareti' erano intensamente rosse in perfetto accordo col pavimento di legno. Vi erano alcuni tavoli dove alcuni absintheurs sedevano con la testa fra le mani. Una coppietta era seduta in un angolo: lui le parlava ma lei sembrava essere assente.
Mi appropinquai al bancone in fondo per berne ancora uno. Non c'era musica nè brusio. C'era un uomo seduto al bar con i capelli corti rossi ed una barba rada rossa anch'essa, mentre attendevo il mio giro cercai di parlargli.
"Un po' di calma, per fortuna .. . " dissi.
All'inizio l'uomo non sembrò nemmeno notarmi poi si girò lentamente e mi guardò mettendo i suoi occhi grigi nei miei. Notai che una fasciatura gli copriva la parte sinistra della testa. Osservando bene, notai che la garza serviva a coprire l'assenza dell'orecchio sinistro.
Capii di essere ad Arles.
Una sensazione di attesa aleggiava fra le mura rosse.
Finalmente vidi la ballerina che mi faceva segno di seguirla dietro alle tende che coprivano la porta d'uscita alla fine del salone. Mi attendeva fuori l'uscio e appena la raggiunsi, 'mi prese per mano e indicò il cielo.
"Guarda" mi sussurrò.
Il firmamento girava sopra di noi con lo stesso alone tratteggiato delle lampade ad olio. I cipressi ci accompagnavano ondosi, mentre, mano nella mano, passeggiavamo nella notte stellata di Van Gogh.
Non mi accorsi che l'uomo che mi aveva telefonato il giorno prima mi stava osservando nascosto dietro a un cipresso, mentre con un dito sulle labbra diceva di far silenzio alla fatina verde che gli svolazzava intorno.
Ormai pieno di quelle conoscenze non avevo più voglia di festa ma di tranquillità, per poter ripetere l'esperimento che Lautrec mi aveva illustrato. Cercai un posto con un po' di pace ma ormai la fata trasportava i cuori di tutta la gente. Rassegnato a quella baraonda, notai che la ballerina che mi aveva baciato poco prima entrava di soppiatto in una porta accanto al palco. La seguii senza alcun timore.
La prima cosa che notai fu l'alone delle lampade ad olio che scendevano dal soffitto. Uno strano riverbero circolare tratteggiava un campo etereo intorno alle fiammelle che distribuivano la luce come grosse pennellate.
C'era un biliardo al centro della sala e vicino un uomo vestito di bianco, ritto e con le mani in tasca che fissava il vuoto. Le pareti' erano intensamente rosse in perfetto accordo col pavimento di legno. Vi erano alcuni tavoli dove alcuni absintheurs sedevano con la testa fra le mani. Una coppietta era seduta in un angolo: lui le parlava ma lei sembrava essere assente.
Mi appropinquai al bancone in fondo per berne ancora uno. Non c'era musica nè brusio. C'era un uomo seduto al bar con i capelli corti rossi ed una barba rada rossa anch'essa, mentre attendevo il mio giro cercai di parlargli.
"Un po' di calma, per fortuna .. . " dissi.
All'inizio l'uomo non sembrò nemmeno notarmi poi si girò lentamente e mi guardò mettendo i suoi occhi grigi nei miei. Notai che una fasciatura gli copriva la parte sinistra della testa. Osservando bene, notai che la garza serviva a coprire l'assenza dell'orecchio sinistro.
Capii di essere ad Arles.
Una sensazione di attesa aleggiava fra le mura rosse.
Finalmente vidi la ballerina che mi faceva segno di seguirla dietro alle tende che coprivano la porta d'uscita alla fine del salone. Mi attendeva fuori l'uscio e appena la raggiunsi, 'mi prese per mano e indicò il cielo.
"Guarda" mi sussurrò.
Il firmamento girava sopra di noi con lo stesso alone tratteggiato delle lampade ad olio. I cipressi ci accompagnavano ondosi, mentre, mano nella mano, passeggiavamo nella notte stellata di Van Gogh.
Non mi accorsi che l'uomo che mi aveva telefonato il giorno prima mi stava osservando nascosto dietro a un cipresso, mentre con un dito sulle labbra diceva di far silenzio alla fatina verde che gli svolazzava intorno.
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