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IL TAPPO

di S.C.

Frank soffriva di stitichezza. Era una settimana che non la faceva, e per qualche strano scherzo della vita era anche una settimana che non scriveva: aveva quello che gli altri chiamavano il blocco dello scrittore, ma per lui era solo un periodo del cazzo. Era come se avesse un tappo, anzi due, uno nell’intestino e uno nel cervello, nella creatività. Era uno scrittore, forse più un poeta, con quella dose di dolore che lo poneva al di sopra degli altri, con quel poco di consapevolezza che lo aiutava a tirare avanti e a non premere il grilletto contro le tempie. Erano quasi le undici del mattino, lo confessava la sveglia sul comodino, e Frank continuava a giacere nel letto avvolto nelle sue lenzuola di depressione. Si mise a pancia all’aria  interrogandosi sul perché di quell’atroce emicrania poi posò lo sguardo sulla sua macchina da scrivere e vide tre bottiglie di vino vuote, anzi scolate, nascoste fra due o tre dozzine di mozziconi di sigarette e capì il motivo del mal di testa e fu felice. Si grattò il petto peloso come fa un orso al risveglio dal letargo, schiaffeggiò il grasso addome costatando quanto fosse ingrassato nell’ultimo mese. La sua pancia in continua espansione lo preoccupava non poco, più che altro preoccupava il suo uccello: aveva paura di non piacere più alle belle donne così ciccione, ma il suo sguardo ricadde vicino alla macchina da scrivere e notò un bel paio di mutandine femminili rosse e ricordò, tra qualche nebbia, la notte passata e quelle tette meravigliose fra cui era morto un paio di volte. Se lo toccò e si complimento, nonostante l’alcol era ancora in forma. Scorreggiò sbadigliando e si addormentò.
Il campanello della porta lo sbatté giù dal letto. Era Hellen.
“Cosa fai ancora nudo? Sono le tre.”
“Aspettavo che qualcuno mi rompesse i coglioni.” grugnì Frank.
“Elegante come al solito e puzzi da far schifo. Sudi vino.” disse la donna.
Lo scrittore stitico s’infilò le mutande e si diresse al bagno per cercare di sistemare il suo aspetto. Dal momento che era impossibile si limitò a lavarsi i denti e a farsi il bidè. Si sedette sul sofà, fumando una sigaretta. La sua pancia brontolava in modo sinistro, quasi urlava.
“Hai fame.” disse Hellen.
“Non credo.”
“Beh…ma quei rumori nello stomaco…ti preparo un paio d’uova.”
“Ok”, disse Frank, le mangio ma questo brontolio non è fame …so quando ho fame”
Hellen si alzò, mostrando due belle gambe  attaccate a due chiappe per cui valeva la pena rinunciare anche ad una birra. Era vestita con una canottierina nera attillata e una minigonna rossa che serviva solamente a coprirgli gli slip. Bastò quel poco a Frank  per farglielo diventare duro. Un timido sole che filtrava fra le tende fu l’unica cosa a ricordare a Frank che fosse giorno inoltrato, e che fosse mercoledì. Scorreggiò.
“E’ una settimana che non scrivo, e venerdì il mio editore vuole qualcosa…che cazzo gli do?” gridò per farsi sentire da Hellen in cucina. La pancia di nuovo brontolò.
“Ma mi stai ascoltando?” continuò Frank.
Come risposta, un flebile ‘mmh-mmh’ giunse insieme all’odore di fritto.
“…e per di più sono stitico…” gridò di nuovo.
Nessuna risposta. Decise di accendere la TV.
La spense a quota tre omicidi, due rapine e una crisi di governo.
Hellen gli portò le uova; le sue tette danzavano sotto quel collo. La guardò sorridendo per ringraziarla.
“Sei bellissima” disse Frank. Poi guardò quelle labbra rosse fuoco:
“…e mi fai arrapare.” aggiunse.
“Ti sistemo un po’ la casa”, disse Hellen, “è una stalla”.
Frank aveva molte donne, ma le aveva per una notte o due. Lei invece c’era anche di giorno. La aveva accettata come la sua donna e in quanto tale Hellen  pretendeva di essere l’unica. Sapeva delle scappatelle di Frank e della sua infantile ingordigia ma forse l’amava e sopportava tutto ciò finendo sempre per soggiacere al conflittuale fascino dello scrittore-poeta. Frank ingurgito le uova in una manciata di secondi, seguite da una lattina di birra; lo stomaco si lamentava comunque.
“L’avevo detto che non era fame.” borbottò lo scrittore.
“Libellula dove sei ?” la chiamava con il soprannome che le dava, ma la risposta lo spiazzò
“Brutto stronzo! Maiale! Ipocrita!”
“Che succede ?” chiese scocciato.
“Di chi sono queste mutande rosse? Brutto verme ti faccio vedere io!” si diresse verso Frank indemoniata e gli mollò uno schiaffone. Lo scrittore glielo restituì più forte.
“Lo sai che non devi farlo.” gliene mollò un altro, e la guardò fissa negli occhi.
“Non devi picchiarmi mai!” ribadì e lei abbassò lo sguardo. A Frank non piacevano le botte, o almeno riceverle, ma un ceffone da una donna lo eccitava: si calò i boxer e mostrò che l’arnese si era indurito. Si sedette sul sofà e prese la testa di Hellen  fra le mani e la spinse sul pisello. La donna in principio oppose resistenza, aveva i denti stretti, la bocca serrata, ma poi nelle sue narici permeò l’odore di sesso, di uomo, di quella fragranza che fa rima con la parola piacere, affascinante come l’oppio. Stordita da tale essenza  schiuse le labbra e cancellò il ricordo delle mutande rosse e degli  schiaffoni: di nuovo Frank l’aveva soggiocata. La sua lingua incontrò l’Amore del poeta e come un serpente in calore si attorcigliava e si strusciava su di esso. Improvvisamente lo stomaco di Frank prese a brontolare insistentemente , in modo furioso, e la sua pancia cominciò dolergli. Aveva ragione: non era fame, era diarrea, di quel tipo che non puoi trattenere; ma nemmeno dal fartelo succhiare ti puoi trattenere. Così mentre la donna metteva tutta la sua arte nel deliziarlo, lui doveva evacuare ed anche urgentemente. Stava per venire e in genere quando si raggiunge l’orgasmo tutti gli sfinteri si rilassano, e fu così che il buco di culo gli si allargò e mentre veniva in bocca alla donna, cagò così esplosivamente che gli schizzi raggiunsero la faccia della donna. Fu una sensazione bellissima, soddisfò due bisogni in un colpo solo. Hellen lo guardò con gli occhi spalancati, si toccò la faccia e quando realizzò che quella fanghiglia era cacca, anzi cacarella, urlò schifata; andò di corsa in bagno a lavarsi il volto, forse vomitò, fatto sta che uscì di casa sbattendo la porta, forse per non rientrarci più. Forse. Le donne sono strane.
Frank rimase sul divano attonito, frastornato da quella puzza di fritto e merda, con i boxer calati. Andò in bagno a completare l’opera. Poi si sedette davanti la macchina da scrivere, spostò bottiglie e mutande, e cominciò a scrivere. Scrisse per cinque ore di fila. Era allegro, felice: era saltato il tappo. Anzi, due.

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